Sciami e geometrie delle api

Circa 40 anni fa scrutavo le fioriture di primavera sui brevi pendii del mio giardino e pensavo a come sarebbe uscita la produzione autunnale di miele

Sciami e geometrie delle api

Sulla parte piana in alto, esposte a sud quasi al bordo del pendio, stavano infatti nove alveari, alcuni verdi, altri grigi, altri gialli, una fabbrica di duecentomila operaie circa, con musicale sommesso ronzio, con le guardiane che imponevano di non passare davanti a disturbare i loro incessanti andirivieni, e di essere cauti e cortesi senza fare gesti inconsulti a passare dietro, per non creare allarmismi negli opifici. Guai infatti a disturbare, partiva una serie di attacchi frontali che non era poi facile evitare. Solo il fumo e la notte le calmava. Invece quando c’erano gli sciami annunciati da un ronzio che diventava un rombo, per non farli volare in alto dove sarebbe stato difficile catturarli e dar loro ed alla regina con loro una nuova casa, si battevano pentole e coperchi sonoramente, finchè la regina trovava un ramo basso e attorno a lei si quietava il turbinio e una grossa pigna d’api si formava a poco a poco a proteggerla. Capitò a mio fratello Luigi alla sera di scuotere il ramo sopra un alveare vuoto (se la regina cade dentro anche le api poi la seguono), ma si trovò con la schiena coperta di api e il suo maglione grigio sembrava tutto vivace e luccicante: fece cento metri da record su e giù per la riva per liberarsene, me lo ricordo ancora. Si beccò solo qualche pungiglione sul collo e sulle mani, ma la nuova famiglia fu poi presa. Un anno invece lo sciame prese casa in alto, su di un grande albero di noci e non ci fu modo di catturarlo. Costruì casa propria e stette lì per qualche anno. Aveva 5 grossi favi paralleli a forma di cuore, ben saldi sul grosso ramo, incantevoli. E’ straordinario vedere la geometria con cui le api costruiscono casa con la cera, occupando al meglio lo spazio: cellette perfettamente esagonali, sviluppate adiacenti da una parte e dall’altra sullo stesso fondo equilatero, riempite di miele, polline, nettare, uova, larve e pappa reale. Era lassù una buona stazione di controllo dell’ecosistema. Oltre al vento, dalle api che vanno di fiore in fiore dipende in buona parte l’impollinazione e la produzione di frutta, e non sempre e non tutti i trattamenti chimici nelle campagne vanno d’accordo con loro. Smielare era un rito da preparare con cura, succhiare il miele profumato sui brandelli di cera che chiudeva gli opercoli era di inebriante godimento. Pochi apicultori erano in zona a quel tempo, pressochè amatoriali. Un amico mi propose anche di diventare presidente della prima loro associazione. Si organizzarono comunque, venne un esperto, vennero in giro vicino altri alveari, ma portarono anche malattia, così cedetti ad un appassionato gli ultimi 3 alveari e l’attrezzatura non riuscendo più ad impegnarmi per tante migliaia di api. Restano i fiori e non solo a primavera, i frutti di tante specie, l’incanto di vederle tuffarsi fra i petali con la lunga lingua e poi strofinarla sulle zampette per depositare il bottino di polline e nettare nelle borse, ed è bello fotografarle, cogliendo con pazienza attimi felici della loro vitale operosità.

Alessandro Serena

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