Pomposa, una suggestiva fioritura dell’arte

Risalendo verso Venezia sulla via Romea, il nostro coro si fermò a cantare in quell’abbazia e fu meraviglia per la risonanza d’arte e fu celebrazione per la singolarità di storia

Pomposa, una suggestiva fioritura dell’arte

Fu posto remoto e problematico per l’insediamento dei benedettini provenienti da Ravenna, un’insula anche poco salubre, ma con lavoro e preghiera divenne presto ‘pomposo’, a dominio del Delta del Po ed a maggior gloria di Dio, tra il VI e il XVI secolo.

Risalendo verso Venezia sulla via Romea, anche il nostro coro si fermò a cantare in quell’abbazia e fu meraviglia per la risonanza d’arte e fu celebrazione per la singolarità di storia.

Non solo per le notizie di cronaca, la prima è scritta in documento dell’ 874, l’indipendenza nel 1001 per accordo tra l’imperatore Ottone III e il papa Silvestro II, o poi per le giurisdizioni su altre 49 chiese, o per le visite di san Pier Damiani e Dante Alighieri, ma anche per il monaco Guido d’Arezzo.

Priore a Pomposa tra il 1040 e il 1050, già lì negli anni venti del 1000 insegnava musica, e viste le difficoltà dei monaci di memorizzare i canti gregoriani, inventò le note musicali, utilizzando le sillabe iniziali dei versi dell’inno a san Giovanni Battista composto dal monaco longobardo cividalese Paolo Diacono.

Si tratta di quella notazione dei suoni su sette note Ut (DO)-RE-MI-FA-SOL-LA-SI, che da allora ha permesso al mondo occidentale di esprimere, ascoltare e vivere un non finito catalogo di musica.

Antifone, introiti, messe, canti, sonate, sonetti, intavolature, invenzioni, ballate, romanze, scherzi, concerti, sinfonie e tutte le altre forme sviluppate finora, compreso il melodramma e l’opera lirica, sono poi state scritte in quel modo.

Tanta parte della musica cosiddetta classica sono racconti senza parole, racconti del silenzioso mistero dell’anima che certificano il geniale ascolto di frequenze interiori e il gioco di forme sonore che tracciano i sentimenti: Guido d’Arezzo ha trovato il modo di scansionarle.

Il suo trattato Micrologus fu conosciuto più di ogni altro per la musica già nel medioevo. Dunque anche noi beneficiamo del suo ingegno, nutrito dall’estetica dei mosaici pavimentali del VII e XI secolo dell’abbazia, consacrata con atrio nella forma attuale nel 1026, e arricchita successivamente nel XII secolo di altri mosaici e intarsi di marmo.

Nell’abside inoltre scoprimmo un collegamento importante con gli affreschi del duomo di Spilimbergo.

Vitale degli Equi, detto da Bologna, di ritorno da Udine a metà del ‘300 dipinse là il Cristo in maestà tra angeli, santi e storie di sant’Eustachio.

Suoi aiuti e altri della scuola bolognese dipinsero a tre registri varie scene del Vecchio e Nuovo Testamento e dell’Apocalisse sulle pareti della navata centrale e un Giudizio Universale sulla controfacciata: silenziosi racconti per immagini di biblia pauperum, con modo ancora gotico ma già chiaramente sulla scia di Giotto.

Quello stesso Vitale, lo troviamo anche chiaro riferimento se non autore della grande crocifissione di Spilimbergo, e di molte altre scene copiate dai suoi affreschi della cappella di san Nicola di Udine.

Straordinaria circolazione di cultura nel medioevo!

Ma oggi che sembra tutto più facile e contemporaneo, chi ha coraggio di promuovere e produrre alte e affascinanti realizzazioni di arte, meritevoli di incontro, risonanza e memoria?

Autore: Alessandro Serena megazine@megmarket.it 

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