FOGOLÂR e CJAVEDAL nella civiltà friulana

Un tempo polenta attorno al fuoco, oggi solo foto?

FOGOLÂR e CJAVEDAL nella civiltà friulana

La modernità, l’architettura razionalista, l’organizzazione migliorata della struttura domestica, grazie in buona parte agli impianti di riscaldamento, ancor prima della frontiera oggi aperta della ‘domotica’ e robotica, ha rivoluzionato un costume di vita che in Friuli trovava particolare caratteristica: il modo di vivere attorno al fogolâr, impreziosito dal cjavedâl. Niente a che vedere con lo stare davanti al caminetto! Quando nel 1946 mio padre ristrutturò la casa, la grande stanza dove un tempo si trovava il fogolâr divenne corridoio/disimpegno ma rimase nominata “cusina vecia”. La cucina passò più avanti, attrezzata con la ‘stufa economica’ e i fornelli a gas. Eppure non fu perso il senso di famiglia dato da quell’emblema tipicamente friulano. Il cjavedâl, quell’alare doppio in ferro battuto indispensabile a sostenere le pentole sopra il fuoco vivo, in particolare quella di rame per la polenta di mais, a partire dal XVII secolo divenne presenza quasi costante in tutte le case friulane, sia quelle signorili, sia quelle più caratteristiche della civiltà contadina. Con i piedini dei montanti, i decori sulla sbarra ponte e gli accessori funzionali, spesso era elegante e raffinata opera d’arte fabbrile trasmessa di padre in figlio e gelosamente conservata, motivo di orgoglio e di prestigio del possessore. Molti musei friulani ne espongono esemplari, osterie e trattorie ne usano il nome e la Società Filologica Friulana conserva e mi ha gentilmente fornito alcune immagini in cui si vedono  manufatti e persone in costume tradizionale friulano.

In gioventù disegnai piccole silhouette di fogolâr con il cjavedâl, per far fare semplici mosaici con poche tesserine incollate su taglieri di legno da polenta. Furono prima omaggi di Natale per i clienti della Grappa d’Oro, poi i mosaicisti per anni ne realizzarono e vendettero di simili a molti emigranti friulani o per decoro di taverne domestiche, e dunque a memoria di un Friuli ormai cambiato. Non più quello raccontato da Ippolito Nievo “la cucina di Fratta… il foco scoppiettava fumigante e s'ergeva a spire vorticose fino alla spranga trasversale di due alari giganteschi borchiati di ottone, e gli abitanti serali della cucina scoprivano alla luce le loro diverse figure.”, o quello poverissimo mostrato da padre David Turoldo nel film “Gli ultimi”. Eppure era attorno al fogolâr che si consolidava il senso della famiglia, si sedimentava il vissuto quotidiano nella storia della comunità. In quell’ambito ancestrale e materno riscaldato da lembi di fiamma si illuminavano sogni e pensieri, appuntati fin sul rosso dell’ultima brace. Arrivò la TV, poi il telefonino, e sono fotografie e video ormai ad illuminare frettolosamente il filo identitario della storia, quella personale e quella comune, da costruire insieme. Ancora nel 2009, per la mostra internazionale di illustrazione “i colori del sacro: dal fuoco alla luce”, scrivevo:

Emblema friulano d’altri tempi /quel riunirsi di famiglia attorno al fogolâr,

a guardare il moto fuggente dei lembi di fiamma /dove l’età disperde i pensieri nei colori della luce,

e i discorsi ritmati a sorpresa dal crepitio dei legni /inseguono faville con favole e speranze,

a ritrovare un composto senso di umanità.

 

Cupo di fuliggine e grigio di cenere l’ambiente, /nel giorno umile e faticoso; ma nella sera,

calda appena attorno al fuoco, il pacificante scrutare /i ceppi sorgenti tra il nero e il sole,

cercava i riflessi del proprio significare, /e fino all’ultima brace, scopriva lì accanto

vita e presenza l’uno per l’altro.

 

Diverso fogolar si consolida nel Friuli d’oggi, /senza profumo di polenta nel rame sul cjavedâl

e spesso davanti a spoglie anonime mense. /La civiltà dell’immagine insegue vorticosa

un più vasto orizzonte di storie e vicende.

 

Forse ancora sogni di luce rubati al tempo /e magari sfavillanti di meritevole gioia,

scaldano vecchi e nuovi racconti di persone amate, /ancora si cercano belle pagine di famiglia

sempre bisognosi di nuova e più importante umanità.  

Autore: Alessandro Serena megazine@megmarket.it

 

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