La speranza nell’arte, una illustrazione del 1300

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La speranza nell’arte, una illustrazione del 1300

Una illustrazione è di per sé ostensiva, cioè offre alla vista un’immagine che racconta o interpreta un racconto. Era l’intento primario degli artisti medioevali, quasi dei ‘trovatori’, dei cantori per immagini.

Emblematico in questo senso è l’affresco sulla lunetta del portale del Duomo di Spilimbergo. Per anni, anzi per secoli, se ne era perso il dettato, senza porsi il problema di mantenerlo leggibile. Tant’è che fino al recente restauro, nel 2016, nessuno mai ne aveva scritto alcunché.

Un’avventura affascinante il restauro, dedicato alla memoria di una straordinaria carissima persona, e fortunatamente assecondato dall’ispettore della Soprintendenza di allora. Infatti è sempre aperto il problema se restaurare abbia la finalità solo di consolidare l’esistente, spesso diroccato e in parte perso, o ripristinare al meglio l’originale intento raffigurativo, con pieno recupero di significato e finalità per cui era stato fatto. E si discute assai. Come dire: vanno di moda i jeans bucati e strappati, perciò possiamo tenerci così anche gli affreschi; oppure ricuciamo al meglio lo strappo e recuperiamo la funzionalità e il senso del pantalone, cioè proteggere il corpo e mostrare decenza e dignità, magari anche bellezza.

La casistica non manca, vedasi basilica di Assisi, cappella degli Scrovegni a Padova sopra tutti. Del resto se nel tempo fossero state fatte adeguate pulizie, manutenzioni ordinarie, ci fossero stati migliori prodotti protettivi, probabilmente gli affreschi sarebbero durati meglio. Nel caso della nostra lunetta molti monelli non avrebbero dovuto tirare pallonate alte e molti adulti e prelati avrebbero dovuto mantenere attenzione al significato dell’immagine, che non è di poco conto. Essa parla della Speranza, quella confortante e liberante che ci fa guardare in alto e capire la trascendenza.

Grande artista lo sconosciuto frescante, che sul finire del duecento o nei primissimi anni del 1300 ha dipinto senza precisione di prospettive e simmetrie. Ricco il gioco dei colori con azzurro raro e verde e rosso di “diaspro e cornalina” usati a contrappunto; fantastici i cimieri da parata; di tradizione duecentesca le aureole a rilievo; ornato di fiori il manto della Madonna; giottesco il trono con braccioli ad architetture che sembrano atrio di casa e fronde a togliere gotica rigidità.

Le fronde assomigliano ai rilievi dei capitelli e dei riquadri dell’architrave, il che fa pensare ad un progetto che unisce nell’architettura tutti gli elementi ornamentali, scultorei e pittorici, e ne fa uno straordinario capolavoro, emblematico del Risorto e della Trinità e un unicum dell’arte per la religione.

Il Bambino benedicente non è tenuto dalla Madonna, titolare del Duomo impegnata a raccogliere le pergamene di supplica, nemmeno con una mano, perciò rappresenta quell’”Uno” visto sul trono, come si legge in Apocalisse 4, 1-2: “c’era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto”.

Concettuale è il simbolismo di racemi e fronde sgorganti dal trono, ad indicare un giardino nel cielo, il paradiso. Tutto ciò non trova riscontro nella storia dell’arte, nemmeno gli scudi rappresentano un’arma araldica reale, dunque sono simbolici per l’umanità, uomo e donna inginocchiati e assistiti dagli angeli. Più avanti al v. 5 si dice “…sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio”, dunque i sette occhi della facciata, gli occhi dell’Agnello, descritti in Ap. 5, 6 come simbolo dei “sette spiriti mandati da Dio su tutta la terra”: lo Spirito Santo, che illumina dentro e fuori ogni tempio umano.

L’Apocalisse è il libro della speranza per i perseguitati, della vita oltre il contingente, non della catastrofe. Sembra povera questa facciata del Duomo, invece è straordinariamente ricca di senso e di Bellezza, così per tanti, già dal 1300 “si aprì una porta nel cielo”, come scrisse Giovanni.

TAG: Spilimbergo, Friuli Venezia Giulia, Arte, Cultura, bellezza

Autore: Alessandro Serena megazine@megmarket.it

 

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