Il fascino di Aquileia fra polifonia e mosaico

Severa bellezza e colore avvolgente degli affreschi. Alessandro Serena ci racconta la basilica di Aquileia

Il fascino di Aquileia fra polifonia e mosaico

Una severa bellezza ho trovato nella basilica di Aquileia, guardando l’aula dall’alto del presbiterio, quando nel 1990 cantammo col coro alla messa dei santi Ermagora e Fortunato patroni del Friuli e proprio là martirizzati.

Avvolgente il colore degli affreschi in abside, e a scaldare poi c’era l’oro sui paramenti rituali rossi dei vescovi e dei tanti preti friulani riuniti per la celebrazione. Invece freddo appariva il mosaico pavimentale in tessellatum di marmi.

Eppure le nette figure contrappuntistiche della missa Lauda Sion di Pierluigi da Palestrina trovavano eco appropriata nelle narrazioni musive del pavimento dell’aula. Come vestali le nostre donne in blu, con splendido timbro cristallino di voce, ricamavano melodie intrecciate di note, quasi andamenti di tessere a descrivere geometrie e incorniciare medaglioni di immagini emblematiche.

Una lunga storia calpestata da secoli è ancora lì a parlare di alti pensieri voluti dal vescovo Teodoro nel IV secolo per il più grande mosaico pavimentale di tutto il mondo cristiano occidentale, 740mq, diviso in quadri (emblemata) raffiguranti soggetti biblici.

La basilica di oggi è però quella consacrata dal patriarca Poppone nel 1031. Vi si respira pienamente l’esperienza romana della grande architettura.  

C’era stato Attila prima e i suoi, violenti, nel 452, a distruggere. Uno spesso strato di argilla aveva nascosto per secoli il racconto pavimentale, riscoperto solo ad inizio del XX° secolo.

E’ noto che Aquileia al tempo di Teodoro, amico di Costantino ancora prima che fosse imperatore, era la seconda città dell’impero. Meno noto invece che nel concilio di Aquileia nel 381, il vescovo di Milano Ambrogio fece prevalere su quello “aquileiese” il tipo liturgico “ambrosiano”.

Da allora i basamenti dei fonti battesimali sono stati ottagonali, riferendosi all’8 giorno, quello della resurrezione, e non più esagonali riferiti ai sei giorni della creazione. Si rimane ora colpiti dalla sintesi culturale nei simbolismi dei mosaici e dall’efficacia estetica che presentano: una semplicità che nasconde profondità teologica.

Vi sono materiali provenienti da varie zone dell’impero e mostrano la globalizzazione di quei tempi (e allora non c’era la paura dell’immigrazione). Si vedono geometrie allusive alla croce, ripetute nelle diverse cornici; fiori, frutti, animali vari alludenti ad uno sfondo di paradiso terrestre.

Poi scene che richiamano la scuola catechetica di Alessandria d’Egitto: pesce e pesci che simboleggiano Cristo e cristiani, gallo e tartaruga per luce e tenebre, come monito al cresimando che deve lottare contro il demonio, o luce dell’ortodossia cristiana che ha vinto l’eresia ariana; il simbolo dell’infinito messo all’interno di un triangolo equilatero, come dire: Infinita Trinità.

Alla fine del IV secolo Aquileia era autentico crocevia tra Oriente e Occidente, tra Africa e Nord d’oltralpe, con san Cromazio che intratteneva rapporti di alto profilo con sant’Ambrogio a Milano, san Giovanni Crisostomo a Costantinopoli, papa Innocenzo a Roma, san Girolamo che stette 3 anni ad Aquileia e con cui collaborò a tradurre in latino la bibbia.

E crocevia storico tra antichità e medioevo, sotto la pressione dei barbari migranti verso l’Italia.

Tanto altro si vede e bello da meditare, con Giona che finalmente si arrende alla volontà divina e trova premio e felicità sotto un ricco bersò, come ascoltasse anche lui il crescendo dell’ultimo potente Amen di Palestrina, principe della scuola romana della polifonia rinascimentale, quel giorno risuonato nel principale tempio del mosaico romano. 

Tag: Aquileia, Friuli Venezia Giulia, Impero Romano, Alessandro Serena. italia.it, cultura, mosaico

Autore: Alessandro Serena megazine@megmarket.it

 

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